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Plastica biocompatibile: i limiti di un settore

Ecoplastica - bioplastica

Alessandro Ferri • Uno studio IHS dimostra che per i polimeri a base biologica, rispetto a quelli tradizionali (a base di petrolio), c’è ancora molta strada da percorrere. Sia nel perfezionamento qualitativo dei prodotti finali, che nel contenimento dei costi di produzione

 

 

•• La crescente pressione dei consumatori – sempre più attenti alle tipologie e alle caratteristiche dei prodotti – e le normative ambientali sempre più restrittive e premianti verso le scelte ecologiche, hanno certamente favorito lo sviluppo delle plastiche biocompatibili (o «a base biologica»). Ma non hanno ancora potuto ridurre i costi di produzione né, soprattutto, sostenere la qualità finale dei prodotti finiti.

Sono le considerazioni finali del rapporto presentato a Houston, il 26 settembre, dalla società di consulenza aziendale IHS. Nel Rapporto viene valutata attentamente – e senza sconti – l’economia del processo di realizzazione dei polimeri a base biologica, rispetto a quelli tradizionali (a base di petrolio). E sono proprio i costi dei diversi processi, unitamente alle proprietà del prodotto, a costituire ancora dei veri e propri fattori impeditivi alla crescita del settore.

I polimeri su base biologiche, denominati anche bio-plastiche o bio-polimeri, sono materiali prodotti da risorse rinnovabili: dallo zucchero e amido, all’olio di semi e di lipidi a base di prodotti biologici, derivati ??della cellulosa, proteine ??e biomasse. Le fonti di amido variano in tutto il mondo, ma comprendono ovunque mais, patate, manioca e barbabietole da zucchero. I polimeri «convenzionali» derivano, invece, da combustibili fossili.

Un mercato in espansione

I polimeri «biologici» comprendono, attualmente, meno dell’1% del mercato totale del polimero globale: vi è tuttavia una significativa domanda dei consumatori. Questo incremento, combinato con le normative sempre più stringenti – come il divieto di utilizzo dei sacchetti di plastica e le iniziative atte a prevenire il riscaldamento globale – stanno determinando una maggiore opportunità di mercato per le plastiche biologiche“. Lo afferma Susan L. Bell, autrice dello studio e analista di IHS Chemical. “Allo stato attuale, tuttavia, una commercializzazione su vasta scala di alcune di queste tecnologie è limitata dai costi, molto più elevati rispetto alle plastiche tradizionali, a base di petrolio, e in alcuni casi, per la qualità inferiore del prodotto.

 

BioplasticaMa da cosa dipende questa «inferiorità» qualitativa dei polimeri biologici? Hanno generalmente un minore impatto ambientale per il ridotto CO2, e sono riconducibili con gli sforzi atti a creare prodotti più sostenibili, rispettosi dell’ambiente ma, purtroppo, ciò non basta a garantire la loro «tenuta» a confronto con i polimeri derivati dal petrolio. Attualmente, la maggior parte dei polimeri «bio» sono in gomma naturale e materiali cellulosici: gomma naturale, materiali cellulosici, acetato di cellulosa/triacetato e Nylon-11, prodotti affermatisi sui mercati ma non ancora perfezionati al punto da poter garantire prestazioni di lunga durata negli usi quotidiani. Nel 2012, i due più importanti polimeri biodegradabili commerciali erano acido polilattico (PLA) e polimeri a base di amido, che rappresentano rispettivamente circa il 47 e il 41 per cento del consumo totale di polimeri biodegradabili. Questi polimeri sono sia a base biologica che biodegradabile.

Secondo un altro rapporto dell’IHS, pubblicato all’inizio di quest’anno, la domanda di polimeri si è concentrata, in particolare, sui biodegradabili. Le stime sulla domanda sono decisamente interessanti: in Nord America, Europa e Asia aumenterà dalle 269.000 tonnellate (KMT) nel 2012, a quasi 525 KMT nel 2017, pari ad un tasso di crescita medio annuo di quasi il 15 per cento nel corso del quinquennio 2012-2017.

Lo sviluppo delle rotte commerciali per le nuove materie prime a base biologica, ha a sua volta accelerato lo sviluppo dei biopolimeri”, spiega la Bell.  Il policarbonato a base biologica (PC) è di interesse per diverse aziende, tra cui la giapponese Mitsubishi in collaborazione con la francese Roquette. Un policarbonato biologico, il Durabio, è stato sviluppato utilizzando isosorbide: l’isosorbide policarbonato si distingue per avere proprietà diverse rispetto al policarbonato a base di bisfenolo A (BPA), la plastica più diffusa che, nel 2012, ha avuto una domanda globale di quasi 3,7 milioni di tonnellate.

Una quantità limitata di isosorbide in policarbonato – 300 tonnellate all’anno – è attualmente in fase di produzione, ma ci sono piani per raggiungere le 20.000 tonnellate metriche all’anno entro il 2015“, ha affermato la Bell.

 

BioetanoloCon il recente sviluppo di acido succinico a base biologica, i polimeri biologici possono essere prodotti utilizzando materie prime rinnovabili: molte aziende stanno sviluppando soluzioni in tal senso. In Thailandia è in costruzione un impianto che produrrà 20.000 tonnellate metriche all’anno: sarà operativo nel 2014.

Sulla base della nostra analisi tecnico-economica” ha continuato Susan L. Belli polimeri biologici possono essere indirizzati verso costi sostanzialmente inferiori, e diventare attrattivi per i produttori”. Un esempio edificante viene dal polietilene, la plastica più diffusa nel mondo prodotta da combustibili fossili, raffrontata con il primo biopolimero a base di etilene. La produzione del bioetilene è iniziata nel 2010, e il maggior produttore è la Braskem brasiliana: è ottenuto dalla canna di zucchero per produrre l’etanolo, disidratata opportunamente per formare la base di etilene. Il polietilene verde ha un prezzo maggiore (dal 15 al 20%) del polietilene a base di petrolio: una differenza di costo significativo, accentuata dal calo dei prezzi dei prodotti petroliferi, indotto a sua volta dall’aumento delle forniture di gas negli USA.

 

Alessandro Ferri